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Per cominciare con il piede giusto si potrebbe dare un occhiata al primo capitolo, non trovate?

  • Eva Dal Rey - Come una crisalide
  • 17 dic 2015
  • Tempo di lettura: 10 min

Questa mattina mi sono svegliata con addosso un nervoso da guinness dei primati. Già dal suono della sveglia capisco che non sarà una giornata leggera; chiudo di nuovo gli occhi e con un respiro profondo butto i piedi giù dal letto. Odio alzarmi presto e odio il lunedì. Le due cose sommate, poi, mi fanno andare prepotentemente la mattina per traverso. Con addosso un vestaglione di pile rosa confetto, scendo le scale con attenzione, cercando di non cadere, tolgo l’allarme, faccio uscire il gatto in giardino ed entro nella zona notte delle ragazze, per svegliarle. Tutto questo con gli occhi a mezz’asta e un ghigno da rottweiler sulla faccia. Quando mi avvicino ai letti la mia vocina interiore mi dà una scrollata e la “brava mamma” fa la sua comparsa.

-Forza pigrone! Sveglia, sveglia che si fa tardi! Chi va per prima in bagno?

Il tono della voce riesce ad apparire quasi allegro, come se fossi davvero entusiasta della nuova giornata che ho davanti. Non è forse vero che bisogna dare il buon esempio? Altrimenti che razza di mamma sarei? La piccola mi guarda strano, sbuffa e se ne esce con un “che faccia che hai” appena bofonchiato tra i denti stetti, poi si butta in picchiata verso la porta del bagno battendo sul tempo la sorella e sedendosi ridacchiando sulla tazza.

-Maammaaaa… l’ha fatto di nuovo… non mi lascia andare in bagno per prima… Maammaaa diglielo tu che ho bisogno di andare in bagno subito, io, quando mi alzo…

Le lascio bisticciare, come ogni mattina, e sparisco in cucina a preparare la colazione. Dunque, tè senza zucchero per Luca, latte freddo con cereali per Annalaura e latte caldo con una fetta di pane e miele per Sara. Che palle, che palle e ancora che palle! Vorrei poter tornare sotto il piumone di corsa e svegliarmi solo a mezzogiorno. Il letto deve essere ancora caldo, ma non posso nemmeno pensarci, almeno non oggi che mi aspettano al cantiere.

Finalmente chiudo la porta dietro le loro spalle, dopo essermi sorbita la solita ramanzina di mio marito sulla colazione fatta di corsa che fa così male, sul ritardo a scuola che ai nostri tempi non ce lo potevamo nemmeno sognare, e mi siedo in cucina con i gomiti sul tavolo da pranzo, in mezzo alle briciole che dovrò pulire. C’è silenzio, silenzio che mi bevo come una medicina, ma che non riesce a calmarmi. Sono stanca di vivere le stesse cose ogni giorno, stufa di arrivare a sera, dopo aver corso per riuscire a fare tutto, senza mai essere veramente soddisfatta di me stessa. E poi tra poco sarà anche il mio compleanno. Ci mancava solo questo, un altro inutile anno che va a sommarsi agli altri inutili anni vissuti aspettando non so cosa. Dovrei essere felice e mi sento in colpa per questo. So di avere già tutto quello che una donna possa desiderare: una famiglia serena, nessun problema economico, una bella casa, eppure non riesco a capire perché mi senta come in una gabbia... e la rabbia aumenta ogni giorno che passa.

-Crisi di mezza età- ha sentenziato decisa Ludovica, collega e amica di sempre, quando venerdì scorso sono entrata in studio con un muso più lungo del solito.

-Di certo non hai litigato con Luca - ha continuato, incurante del mio sguardo assassino - è impossibile litigare con quella "polentina", al massimo ti avrà fatto una noiosissima paternale.

-Taci, che ho le balle già abbastanza girate così - ho sibilato tra i denti.

-Vedo…vedo…

Passando davanti alla sua scrivania il primo impulso che ho provato è stato quello di buttarle a terra tutto quell’ordine meticoloso con una sola manata, ma la solita vocina interiore è riuscita a trattenermi e, come una furia, mi sono rintanata nel mio ufficio. Ho passato l’intera mattinata a rimuginare su quell’umore nero che mi soffoca da troppo tempo e solo verso mezzogiorno mi sono decisa a prendere un appuntamento dal dottore. Quando poi ho messo il naso fuori dalla mia tana, Ludovica era già uscita e ho tirato un sospiro di sollievo.

So bene, comunque, che oggi dovrò farle le mie scuse. Mi alzo a fatica dalla sedia e vado a prepararmi: i soliti jeans, un dolcevita nero e il cardigan con le tasche. Ultimamente mi sento bene solo vestita così: sono comoda, pratica e decisamente poco appariscente. Mi pettino i capelli perennemente scompigliati in una lunga coda ed esco senza un filo di trucco, non ne ho proprio voglia. Arrivata al cantiere sbrigo le mie cose velocemente, ormai siamo in dirittura d’arrivo e la mia presenza serve solamente per gli ultimi controlli. I materiali che ho ordinato sono già stati montati e l’effetto finale è più che positivo. Per quest’ultimo progetto ho voluto osare un po’ di più. I pavimenti e le finiture sono decisamente singolari e quella che doveva essere un'anonima clinica di provincia ha assunto il fascino di una lussuosa dimora nobiliare. Penso che i proprietari ne saranno contenti, visto che sarà frequentata quasi esclusivamente da insoddisfatti ricconi per i loro piccoli ritocchi estetici.

Sto per uscire quando mi sento chiamare. Valuto per un secondo di proseguire, facendo finta di non aver sentito, ma il senso del dovere mi blocca.

-Maddalena… Maddalena… aspetta!

Il capo cantiere mi raggiunge a lunghe falcate e si mette a parlare di una certa consegna arrivata in ritardo. Lo ascolto a malapena e cerco di sbrigare l’incombenza nel più breve tempo possibile. Quest’uomo mi mette ansia e cerco regolarmente di glissare i nostri incontri a quattrocchi. Qualche mese fa ha avuto la malaugurata idea di provarci spudoratamente durante una pausa caffè e da allora lo evito come la peste. Anche la macchinetta automatica, da quel giorno, è diventata off limits per la paura di trovarmi di nuovo sola con quel polpo a due gambe. L’uomo dalle mille mani, l’ho battezzato, tante me ne sono sentita addosso durante il suo tentativo di baciarmi.

Non che sia un brutto uomo, tutt’altro, ma io non mi sento a mio agio in simili situazioni, non ci sono proprio portata. Tutt’altra cosa è la mia amica Ludo. Per lei ogni lasciata è persa, così appena le ho descritto le avances di quel bellimbusto, lei ha cominciato a guardarlo con occhi diversi, mandandolo a chiamare in continuazione per un nonnulla. Anche il tono della sua voce è cambiato, da autoritaria donna in carriera si è trasformata in gattina mielosa, chiedendo a lui stupidissimi favori e consigli. Quando sono stata presente a una di queste sue metamorfosi non potevo credere ai miei occhi. Dov'era finita la mia amica? Appena rimaste sole non ho potuto fare a meno di appiopparle una bella strigliata sulle donne oggetto e su quanta fatica abbiano dovuto fare le suffragette per ottenere la parità dei sessi, ma la sua alzata di spalle mi ha lasciato esterrefatta. Certo che davanti a un uomo molte di noi sono capaci di sciogliersi come un panetto di burro... non riuscirò mai a capire il perché.

A metà pomeriggio mi ritrovo seduta nella sala d’attesa del Dottor Marsili, mio medico di base, accanto a due donne che non smettono un secondo di parlare e sparlare di tutto e di tutti. Prendo la prima rivista che mi capita a tiro e mi concentro sulla pagina che mi si apre in mano. Leggo interamente una articolo sul problema dei crampi in gravidanza prima di rendermi conto che l’argomento è decisamente lontano dai miei interessi. Anzi, mi dà proprio fastidio anche solo pensare di potermi trovare di nuovo in quella situazione. La mente torna in automatico alle mie bimbe che, naturalmente, non cambierei per tutto l’oro del mondo. Semplicemente è un’esperienza bellissima che però non ripeterei un’altra volta. Per fortuna i tempi delle pappe e dei pannolini sono lontani e posso cominciare a pensare anche un po’ a me. Una punta di rimorso mi fa sentire una madre cattiva, irriconoscente. Ho due figlie splendide e intelligenti, cosa posso pretendere di più? Per fortuna l’infermiera interrompe la spirale dei sensi di colpa dentro cui stavo per cadere per l’ennesima volta e mi accompagna nell’ambulatorio.

-Signora Mantovani, cosa posso fare per lei? – esordisce il dottore.

Detesto quando mi chiama con il cognome da sposata, come se non mi conoscesse da sempre. Come al solito, però, non glielo faccio notare. Bene, e adesso cosa gli dico? Come posso spiegargli cosa provo senza sentirmi una perfetta imbecille? Cerco di scegliere con cura le parole e comincio con una descrizione sommaria dei sintomi. Gli spiego che faccio fatica a mangiare qualunque cibo e che dormirei per una settimana intera. Lui mi lascia parlare senza interrompermi, poi prende un foglio e ci scribacchia sopra poche parole.

-Ecco qui, vada a nome mio, prenda un appuntamento e poi mi faccia sapere come va la situazione. Potrebbe essere un po’ di depressione, ma non si preoccupi, probabilmente è solo un disordine ormonale. Sa, d'altronde alla sua età è il caso di cominciare a pensare anche all’arrivo di una fase diciamo… di premenopausa.

Prendo il foglietto senza neanche leggere cosa vi abbia scritto, mi alzo e come in trance esco dallo studio avviandomi giù per le scale. Non ci posso credere... Mi sono aperta come non faccio mai con nessuno e lui che fa? Mi sbologna a un altro dottore e per giunta alludendo a una probabile crisi da premenopausa. Ma con chi crede di parlare? Gliela do io la premenopausa, ciarlatano! Non ho ancora finito di mettere piede sul selciato che un fischio acuto mi richiama immediatamente alla realtà: qualcuno sta cercando di attirare la mia attenzione. Istintivamente alzo gli occhi da terra e faccio appena in tempo a vedere un ragazzino in bicicletta che punta dritto verso di me mentre pedala a tutto gas sul marciapiede. Con un salto indietro riesco per un pelo a evitare di essere investita, ma vado a sbattere malamente una spalla contro il pilastro del portone. La vista mi si annebbia e la testa si riempie di lucine colorate. Mi siedo lentamente a terra, strisciando la schiena sulla pietra finto-medioevale del palazzetto alle mie spalle. Con la mano destra accompagno il braccio dolorante sulle ginocchia, vi appoggio sopra la testa e scoppio a piangere. Non riesco a smettere, i singhiozzi mi sconquassano tutta e mi lascio andare come quando ero bambina, come quando potevo essere me stessa. Dopo qualche minuto mi rendo conto che il portiere è chino sopra di me e mi sta parlando. Mi scuote dolcemente, chiedendomi se voglio che chiami un’ambulanza. Alzo la testa e mi guardo attorno come se vedessi quel posto per la prima volta, come se mi fossi svegliata da un brutto sogno. Cerco di sorridere per rassicurarlo e spiego con poche parole che in realtà è stato solo un grosso spavento, che non mi sono fatta proprio nulla. Una grassa signora sugli ottanta, che cerca di tenere a bada un cagnetto grande poco più di un criceto, mi guarda con disapprovazione e dondola con sussiego la testa prima di continuare la sua passeggiata. Con uno sforzo mi alzo, mi asciugo le lacrime e cerco di tenermi ferma sulle gambe per qualche istante prima di fare un passo avanti. Respiro profondamente per mandare via ogni traccia di tremito, poi mi avvio verso casa, la schiena dritta come un manico di scopa.

Sono immersa in un bagno caldo, profumato e pieno di schiuma; non c’è niente di meglio di una vasca fumante per distendere i nervi e districare i pensieri. Questa è sempre stata la ricetta di mia nonna nei momenti di crisi della famiglia. Ogni volta che si presentava un momento di tensione, oppure quando si trovava costretta ad assistere impotente a bisticci o battibecchi, si metteva le mani sui fianchi e spediva il malcapitato di turno a fare un bagno caldo.

-Vedi di calmarti e pensare a quello che hai detto!

Come se tranquillizzarsi e farsi la ramanzina da soli fosse per lei un tutt’uno. Coricarmi nell’acqua calda e piena di schiuma, però, mi è sempre piaciuto, con o senza sensi di colpa da mettere a nudo.

Anche se è quasi un’ora che sono a mollo, e ormai le dita mi sono diventate bianche e rugose come quelle di una vecchia, non ho ancora nessuna intenzione di uscire. In tutta sincerità finora non sono riuscita del tutto a capire bene che cosa mi sia successo oggi. Sono consapevole di essere un po’ stanca e anche di essere molto stufa, ma mettermi a piangere per la strada, praticamente senza motivo, non mi era mai successo.

Il rumore della serratura mi distoglie da queste riflessioni e sento le mie figlie che rientrano in casa con la stessa baldanza con la quale sono uscite questa mattina.

-Ciao mami! - gridano all’unisono e, senza nemmeno fermarsi, filano dritte ad accendere la televisione.

-Niente da fare - grido di rimando, snervata. - Ragazze, spegnere subito! Prima lavatevi le mani e fate merenda! Ho detto spegnereee!

La stessa identica cosa tutti i giorni. Ma come fanno le altre madri a farsi rispettare? Eppure io ci provo veramente, a farmi prendere sul serio. Esco di corsa dall’acqua, rischiando di finire lunga distesa sulle mattonelle scivolose, e mi tampono velocemente con l’accappatoio. Mi è tornata addosso un po’ di energia. Forse, dopotutto, la ricetta di nonna funziona ancora.

Dopo poco rientra anche Luca, preso come al solito dai suoi pensieri. Già dal modo in cui mi bacia, entrando, mi rendo conto che la sua mente è da tutt’altra parte. A pensarci bene è già un pezzo che mi sento trasparente quando sono con lui. Potrei riceverlo sulla porta completamente nuda con i capelli blu e si comporterebbe allo stesso modo, ne sono convinta. Il solito bacino a labbra tirate, come se gli facesse schifo sentire la mia bocca, e la solita mezza frase prima di rinchiudersi nello studio. Non che sia mai stato un uomo passionale, ma il ragazzo sereno e misurato di cui mi ero innamorata è stato fagocitato da un pedante e serioso professore di storia, con nessun’altra passione se non i suoi libri. Ora che ci penso saranno almeno sei mesi che non riesco a trascinarlo a un cinema, per non parlare di una pizza con gli amici o, peggio ancora, di andare a ballare. Non mi ricordo neanche più come si fa. Sembra essere diventato allergico ai divertimenti, di qualunque genere siano, e la cosa sta diventando veramente pesante.

Non oso pensare a cosa abbia intenzione di fare per il mio compleanno, sempre che si ricordi la data giusta. O forse, come al solito, il pomeriggio stesso mi confesserà ansioso che non ha avuto il coraggio di organizzare niente perché temeva che non fosse di mio gradimento. “Decidi tu, cara, facciamo quello che vuoi, prenota tu in qualunque ristorante desideri. A me va bene tutto”. No! Quella frase maledetta non me la deve propinare anche quest’anno, mi rifiuto! Cosa cazzo vuol dire che gli va bene tutto? Tutto cosa, poi, che non gli va di fare proprio niente? Quest’anno, giuro, lo trascino a ballare. Gli va bene tutto? Ok, ora lo aggiusto io. Se prova a ripetere quelle maledette parole vedrà dove lo porterò per il mio compleanno!

Più rifletto e più mi incazzo, forse è meglio che vada a preparare la cena. Polpette, spaghetti… no, risotto. Ecco, un bel risotto allo zafferano è quello che ci vuole per concludere questa giornata, poi vedremo.


 
 
 

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