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... rullo di tamburi... secondo capitolo!

  • Immagine del redattore: evadalrey
    evadalrey
  • 14 set 2016
  • Tempo di lettura: 17 min

Oggi Ludovica segue tutti i miei movimenti in ufficio con un’espressione strana. E’ tutto il giorno che sento il suo sguardo su di me, che si dissolve appena giro il viso. Eppure non sono in uno dei miei giorni peggiori, anzi a dire il vero la nuova settimana mi ha portato una ventata di serenità, negli ultimi giorni sono riuscita a sentirmi meglio, quasi più leggera. La mia amica, però, mi tiene d’occhio, attenta ai cambiamenti di umore e agli scatti di nervosismo. Questa mattina mi sono anche sforzata di riflettere su quello che mettevo addosso, non mi sono vestita a caso come facevo ultimamente, anzi ho sentito un vago senso di nostalgia davanti ai vestiti appesi. E’ una bella giornata, tersa e luminosa, il sole che entra nel mio ufficio si appoggia piacevolmente sulla mia pelle chiara. Ho bisogno di calore, lo sento, di calore e di affetto. Mentre lavoro a fatica sul computer scopro di pensare a lui, ogni tanto. Era parecchio che non succedeva, probabilmente non riesco più a gestire come si deve il mio cervello, gli sto lasciando le briglie un po’ troppo sciolte sul collo. Il desiderio di sentire la sua voce aumenta con il passare delle ore. Non è passata neanche una settimana da quando ho parlato con lui e ho una gran voglia di chiamarlo, quasi un bisogno. Questo cambiamento mi spaventa, non credo a me stessa, mai avrei pensato di poter tornare sui miei passi così in fretta, di poter desiderare nuovamente quello che ho allontanato di proposito. E’ stata una mia decisione, in fondo. Definitiva. Mi rifiuto di diventare una di quelle donne che giocano con i sentimenti altrui, oltretutto con una persona che non se lo merita affatto, che è stata con me decisamente migliore di quanto io sia stata con lui. Ricaccio la fantasia proibita in fondo al cuore e continuo con il mio lavoro, forzando una concentrazione che oggi non ho affatto.

Il progetto per l’ospedale di Shangai è praticamente finito, stiamo portando a compimento le limature, come ci piace chiamarle, e mi sento molto soddisfatta. Ci hanno comunicato che la struttura è a buon punto, probabilmente già a metà autunno potremo iniziare la nostra parte. Non voglio pensare a quando mi capiterà di trovarmi nella stessa stanza con Davide, perché non ho la minima idea di come reagirò. Forse dovrei proprio evitare che accada. Ogni giorno che passa mi trovo a provare impulsi contrastanti, che mi lasciano la testa piena di pensieri ingarbugliati e confusi. Ero completamente convinta di non desiderare più la sua vicinanza, di avere bisogno di solitudine per poter guarire. Ora so solo che lui mi manca, moltissimo, e farei qualunque cosa per poter tornare indietro nel tempo, per cambiare le cose. Adesso, comunque, devo provare a guardare avanti con fiducia, senza lasciarmi ingannare da fantasie irrealizzabili. I miei sentimenti non hanno niente a che fare con la realtà. La disponibilità ad amare esiste solo nella mia testa, il mio corpo non potrebbe sopportarlo, non più, non dopo quello che è successo. La violenza ha distrutto il mio equilibrio, mi ha reso insofferente a qualunque contatto. Pensare di poter vivere l’intimità con un uomo mi sconvolge, ancora di più se penso di aver riposto per molti anni totale fiducia nella persona che mi ha rovinato la vita. E’ una parola talmente labile, “fiducia”, è come un sottile filo di ragnatela teso tra i rami di un albero. Basta una folata di vento più forte del normale e tutto è distrutto, per sempre.

Prima di uscire Ludovica mi chiede di fermarmi con lei a prendere un caffè, ha un’aria strana, quasi sospetta. Rimango un attimo perplessa, sicuramente vuole parlarmi di qualche cosa e non può farlo in ufficio. Sono tormentata dalla curiosità.

Ci sediamo al solito bar vicino all’ufficio, dove andiamo spesso anche a pranzo.

- Cosa vuoi chiedermi Ludo? Forza lancia subito la bomba, così so di che morte devo morire!

Il mio atteggiamento quasi aggressivo la lascia sorpresa, ma non si perde affatto d’animo riprendendosi subito. Mi dà quasi l’impressione di aver messo da parte qualche strano pensiero e di volersi dedicare ad altro. Col suo solito impeto, comunque, ribalta la situazione.

- Cosa vuoi dire? Volevo parlarti del mio compleanno, ma se non vuoi stare a sentire…fatti tuoi! Credevo di avere un’amica, ma evidentemente mi sbagliavo! – strepita, mentre incrocia le braccia e mette su un muso da “non-ti-parlo-per-tutto-il-mese-prossimo”. So bene che è solo un atteggiamento per farmi sentire in colpa, infatti dopo un secondo ricomincia a mitragliare parole una dopo l’altra.

- Comunque avrei gradito il tuo aiuto per organizzare, tutto qui, odiosa che non sei altro!

Attende speranzosa che io le dia qualche appiglio per proseguire. Mi conosce anche troppo bene, infatti non riesco a resistere e le chiedo che cosa io possa fare per aiutarla.

- Perfetto! Ho pensato di fare una cosa un po’ diversa, quest’anno. Ehi, sono quaranta, mica noccioline! Quindi volevo farmi dare dai miei zii le chiavi del loro chalet, quello in montagna. È veramente carino, in mezzo al verde, e poi è grande: ci sta un casino di gente… cosa ne dici?

Attende speranzosa un mio commento positivo. Sta cercando il mio appoggio per una decisione che ha già preso, come al solito. Poi prosegue: – Penso che sia un’ottima idea, passare tutto il weekend tra i boschi, non trovi? Per lo meno differente da quello che si aspettano tutti.

- Sì, effettivamente sarebbe bello, ma…- cerco il termine giusto - non diventerà una bolgia?

Non so bene cosa dire, l’idea di rimanere due giorni chiusa in una casa in mezzo al nulla con un mucchio di persone vocianti mi mette parecchia ansia.

-Beh, fa parte del divertimento, direi! – risponde, con una logica lapalissiana che mi lascia senza più argomenti di replica. Non posso negarlo, ha ragione. Evidentemente sono solo io che mi faccio dei problemi a stare in mezzo agli altri. Con uno sforzo degno di Ercole mi impongo di mostrarmi felice, annuisco e sorseggio il mio ginseng con una calma apparente da attrice navigata.

- Hai già organizzato qualcosa di specifico? – dico, tanto per sembrare veramente interessata – Hai bisogno che ti aiuti a fare gli inviti?

- Te ne sarei immensamente grata, davvero. – risponde subito, evidentemente soddisfatta per la piega che stanno prendendo le cose.

Bene, temo che dovrò passare parecchio tempo al telefono nei prossimi giorni, anche con persone che conosco appena. Pazienza, per lei lo faccio volentieri.

- Ok, dammi la mia parte di lista, domani comincerò a fare le telefonate – cedo definitivamente, con un’espressione da condannato dipinta sulla faccia.

I giorni passano velocemente, presa tra il lavoro e le piccole incombenze quotidiane. Per fortuna ho poco tempo per pensare. Gli unici momenti strani sono quelli che passo da sola, prima di coricarmi. Il silenzio della casa mi riporta indietro nel tempo e le immagini si accavallano crudeli nella memoria. Mi sembra di vivere questi attimi in un limbo, tra il recente passato ed un futuro che non sono ancora in grado di vedere. Questa casa mi piace veramente tanto, ma non la sento ancora mia. Non ci ho vissuto abbastanza per essermi già affezionata. Ho passato tutto il fine settimana scorso a spostare i mobili della camera da letto, l’ho letteralmente ribaltata. Le bimbe mi osservavano in silenzio, guardandosi di sottecchi di tanto in tanto. Credendo che non le vedessi si scambiavano facce buffe e occhiate eloquenti. Probabilmente hanno creduto che fossi impazzita. Con grande fatica ho trascinato il letto sulla parete opposta, finendo il lavoro completamente esausta e sudata. “Così va un po’ meglio” mi sono detta a voce alta, ma dentro di me, nel profondo, so benissimo che non è vero. Non sarà mai vero. O forse sì.

Il tempo mi scivola tra le dita come sabbia e in un attimo mi trovo a dover affrontare il famigerato compleanno di Ludovica. Mi ha talmente ubriacato tra preparativi e discorsi da non lasciarmi nemmeno il tempo per analizzare bene la situazione. Pensavo che avrei desiderato con tutta me stessa di essere da un’altra parte, invece quando mi passa a prendere sotto casa ho quasi il sorriso sulla faccia.

- Muoviti che siamo in ritardo – mi apostrofa senza nemmeno salutare. Io salto in macchina evitando il commento acido che tengo stretto sulla punta della lingua. Abbasso il finestrino e alzo la radio, cercando di godermi il viaggio.

È strano come l’aria oggi mi sembri più sottile, entra nei polmoni riempiendoli del profumo dolciastro dei fiori. Mi accorgo di riuscire a percepire, dopo tanto tempo, quello che c’è attorno a me. Mi sento bene, finalmente. L’idea di andare a festeggiare questo compleanno non mi sembra più un’idea così balzana, dopo tutto. Quasi quasi stasera ho veramente voglia di stare fuori, di divertirmi. Un po’ di vecchia Maddy si fa sentire e sorrido dentro di me, mentre ci penso. Durante il trasferimento verso il cottage Ludovica non smette di parlare un secondo, è preoccupata ma entusiasta, anzi direi quasi galvanizzata. La sua allegria mi contagia, come al solito, e il mio animo diventa spensierato. Negli ultimi giorni ha avuto dei momenti strani, con un altalenare di stati d’animo che non le appartengono. Mi riprometto di parlarle, appena trovo un attimo di tranquillità, sono sicura che qualcosa la tormenta. Probabilmente il rapporto con Daniel non è idilliaco come vuole farlo sembrare, e io voglio cercare di capire a fondo quale sia il problema.

Lungo la strada sterrata che stiamo percorrendo il bosco è di un verde talmente brillante da sembrare un fotomontaggio, mi guardo attorno inebriata, rapita da questo paesaggio splendido. In fondo al sentiero vedo la casa che ci ospiterà per il week and e ne rimango colpita. Il cottage è veramente fantastico, sembra quasi una casa delle fate. Parcheggiamo la Suzukina della Ludo sul retro, dove sono già ferme alcune auto.

- Chi hai invitato? Oltre al solito gruppo c’è anche tuo cugino e la sua banda di matti? – chiedo curiosa, mentre ci avviamo verso l’ingresso.

- Un po’ tutti… spero che non manchi nessuno, mi dispiacerebbe un sacco. – dice a mezza voce.

Annuisco convinta, la capisco perfettamente: sono più di due settimane che sta organizzando questo fine settimana a dir poco alternativo. È stata un’idea un po’ sopra le righe, lo ammetto, ma si adatta alla perfezione con il personaggio. Potrebbe mai desiderare una festa normale, scontata e già vista una tipa come lei? E poi per i suoi quarant’anni… non sia mai!

Entriamo infilandoci subito in cucina, così da riuscire ad appoggiare velocemente le bottiglie che ci riempiono le braccia e che rischiano di scivolare a terra da un momento all’altro. Dopo aver visto la quantità di liquori a nostra disposizione mi prende un colpo: credo che abbia veramente brutte intenzioni se teme di poter restare senza “carburante”! Scuoto la testa con disapprovazione, ma tengo la bocca assolutamente chiusa, per adesso. Meno male che l’idea è quella di rimanere tutti a dormire qui, stanotte, altrimenti dovrei preoccuparmi seriamente. Mi guardo attorno compiaciuta: il cottage è ampio e accogliente, le finestre si aprono sul bosco, dando il piacevole effetto di trovarsi fuori dal mondo, in una dimensione tutta nostra. Il piano superiore e la mansarda sono adibiti a zona notte, mentre un grande salone tiene tutta la taverna. Scendo le scale con un po’ di apprensione, dopo tutto è molto tempo che faccio i numeri per non trovarmi in mezzo alla gente, obbligandomi ad una solitudine forzata. È strano ma oggi non ho paura, mi batte solamente un po’ più forte il cuore, cosa che non mi procura il fastidio che temevo. Il camino è già acceso, tenuto a bada da un attivissimo Giacomo, il cugino della Ludo, che corro subito a salutare. La musica di sottofondo ci accoglie, mentre tutti si voltano verso la festeggiata per farle gli auguri.

Nel giro di un’ora la casa si riempie di gente e il clima si scalda. Per fortuna conosco praticamente tutti e riesco, bene o male, a trovare piacevole questa compagnia allegra e già un po’ alticcia. Ogni tanto mi apparto, sedendomi in un angolino riparato, ad osservare indisturbata l’atmosfera festosa. Sono contenta di essere qui. In fondo credo di essere riuscita a superare almeno in parte le mie irrazionali tensioni. La mia amica se lo merita, pienamente. Certo, sarebbe molto più soddisfatta se io partecipassi di più alla festa, ma ho bisogno dei miei tempi per lasciarmi andare. Forse con un Martini o due riuscirò anche a sentirmi a mio agio, così decido di provarci. Mi avvicino decisa al tavolo degli aperitivi, la mano diretta verso il cocktail più vicino, quando una voce inconfondibile, dietro di me, riesce a farmi sbiancare la vista e fermare il cuore in un solo attimo.

-Ti andrebbe di ballare con me?

Le ginocchia mi tremano. Mi volto lentamente senza rispondere, non ci posso credere, lui è qui. Il suo viso è a pochi centimetri dal mio. Lo guardo come se vedessi un fantasma, non riesco a distogliere gli occhi dai suoi, come se potesse sparire da un momento all’altro. Cosa mi sta succedendo? È possibile che mi sia mancato fino a questo punto e io non me ne sia accorta?

Molto probabilmente non hai voluto rendertene conto, Maddy!

Davide mi sorride, ma negli occhi vedo passare un’ombra di preoccupazione. Mi parla, lo vedo muovere la bocca, ma incomprensibilmente non riesco a sentire cosa dice. L’unica cosa che il mio cervello percepisce, adesso, è che lui sia qui. Il resto, tutto il resto, non conta niente.

Lui allunga una mano per sfiorarmi i capelli, delicato. Il suo tocco mi fa socchiudere gli occhi, quello che provo è troppo forte per poter sopportare altro. Una lacrima scivola silenziosa, un attimo prima che lui asciughi col pollice l’umida scia. Senza rendermene conto mi trovo tra le sue braccia, stretta al petto dell’uomo che amo. Non so cosa stia succedendo fuori da noi, non mi interessa affatto, le braccia che ci avvolgono sono l’unico confine che comprendo. Il suo cuore batte forte sotto il mio viso e io lo ascolto rapita. Come ho potuto? Devo proprio essere impazzita completamente se ho cercato di distruggere con tutte le mie forze questo sentimento potente e assoluto, questo razionale delirio. Non so per quanto tempo rimaniamo immobili e silenziosi, presi solo l’uno dell’altra, nella nostra piccola eternità privata. Quando alzo gli occhi Davide sospira, guardandomi. Mi affretto ad asciugarmi le guance, rendendomi conto solo ora di trovarmi nel pieno di una festa colma di gente. Riesco anche a percepire la musica, adesso, a sentire le voci e le risate. A fatica riesco a staccarmi da lui, riprendendo lentamente le mie facoltà mentali.

-Ciao - riesco solo a sussurrare.

-Ciao - la sua voce è strozzata - Non riuscivo a fare a meno di te. Mi sei mancata da morire.

Parla come se dovesse giustificarsi, come se servisse una scusa valida per essere qui.

-Anche tu… ma non volevo capirlo. – rispondo, ora è tutto così chiaro.

Annuisce, con una dolcezza infinita negli occhi lucidi.

-Vieni, balliamo. Ho bisogno di sentirti vicino. Non voglio staccarmi da te. – mormora, prima di prendermi la mano e camminare con decisione fino al centro della sala.

Il suo profumo mi riempie la testa di ricordi, le sue mani mi premono sulla schiena, tenendomi stretta contro di lui. Muoversi piano contro al suo petto è tutto quello che desidero adesso. Mi sento così serena, così tranquilla e viva, finalmente. È incredibile come la situazione sia cambiata radicalmente in pochi istanti, senza nemmeno bisogno di tante parole, o spiegazioni, o scuse. È come se sapessimo entrambi che doveva andare così, che non c’era altro da fare. Le ore passano, ma noi non riusciamo a separarci nemmeno per un attimo. Vicini al tavolo del buffet, seduti accanto sul divano, insieme in cucina a prendere nuove bottiglie. Ad un tratto incrocio lo sguardo di Ludovica, dall’altra parte della stanza. Spalanca il viso in un sorriso contagioso, mentre alza in aria il pollice in un plateale gesto da adolescente. Un’ondata di autentica allegria mi travolge, facendomi scoppiare in una fragorosa risata. E brava la Ludo! Così ce l’ha fatta quella cocciuta impicciona. Cosa farei senza di lei, mi chiedo, è veramente l’amica che tutti vorrebbero avere.

Quando apro gli occhi assonnati e li punto verso il soffitto in legno scuro mi sembra di aver sognato. Impiego qualche secondo a rendermi conto che la sensazione di felicità che sento è reale. È uno stato d’animo che non provo da molto tempo, mi sembra da un’eternità. Il calore del corpo steso accanto a me, sul divano, mi circonda come una coperta. Muovo piano la testa, appoggiata sulla sua spalla, per voltarmi a osservarlo mentre dorme. Con calma cerco di mettere ordine nei miei pensieri, che non hanno un senso logico. Si mescolano sensazioni contrastanti, così diverse da non sembrare logiche. In fondo, nascosta, è annidata ancora la paura; ora, però, so che c’è, la conosco e voglio tirarla fuori da lì. Voglio guardarla in faccia, solo così riuscirò a combatterla. Mi soffermo sul suo viso, è disteso e bellissimo. Lo esamino a lungo, attentamente: rughe nuove mi fanno capire molto del periodo appena trascorso, non deve essere stato semplice nemmeno per lui. È dimagrito, le gote più scarne gli mettono maggiormente in risalto gli occhi. Si è lasciato crescere la barba, ma sono convinta che più di un vezzo sia stata l’indolenza a portarlo a fare questa scelta. Mi ha accennato appena a quanto abbia sofferto nelle settimane passate, ma ora, guardandolo a fondo, capisco tutto. Non ho bisogno di altri discorsi. Sto cominciando a comprendere veramente tutto il male che gli ho fatto, tutto il male che ho fatto a noi due. Lui mi ama, sul serio. Non potrei più dubitarne, adesso. Abbiamo passato la notte a parlare, uno accanto all’altra, senza poterci separare nemmeno per un minuto. Il contatto tra di noi era necessario, anzi di più: fondamentale, imprescindibile. Non era attrazione fisica, non ora, ma bisogno profondo. Una necessità urgente che ha spazzato via tutto il resto. Mentre percorro con lo sguardo quel corpo che conosco così bene, mi accorgo che da sotto le palpebre semiaperte i suoi occhi stanno seguendo i miei. Il lieve movimento delle labbra atteggia appena un lieve sorriso.

- Buongiorno amore – sussurra.

Quelle semplici parole sono tutto per me. In un istante è come se il mondo si fosse messo nuovamente a girare, come se fossi riemersa da un’interminabile immersione notturna. Mi vengono le lacrime agli occhi, non riesco a trattenerle. Davide mi guarda, preoccupato, mentre si mette seduto. Vorrei potergli spiegare come mi sento, cerco le parole ma non riesco a trovarle. D’impulso lo abbraccio, forte, trattenendo un singulto.

- Sì, credo proprio che sarà un buon giorno – gli mormoro nell’orecchio.

Le sue braccia mi stringono, mentre il silenzio della casa ancora addormentata ci avvolge.

Dopo una doccia calda quasi non sento più i dolori alla schiena, causati da quelle poche ore passate a dormicchiare sul divano. Mi muovo veloce in cucina, attorno ai fornelli, per prevenire la baraonda che sicuramente si riverserà tra non molto in questi pochi metri quadrati. Il sole comincia a luccicare sui rami alti dei pini, ancora umidi della bruma mattutina. Litigo un po’ con la moka, quando provo a svitarla si incastra senza volersi aprire. Probabilmente non la utilizza nessuno da mesi. Quando finalmente riesco a mettere il caffè sul fuoco provo a calmare le mille domande che mi si presentano alla mente, ferma davanti alla grande finestra. I passi sulle scale mi fanno voltare.

- Ehi, ti sei tagliato la barba! – esclamo.

- Ho pensato che ti sarei piaciuto di più così, in effetti. Non mi è venuto in mente di tagliarla prima di venire qui, altrimenti non mi sarei presentato conciato in quel modo – ammette, mentre si gratta sovrappensiero la testa.

La mia risata lo lascia per un attimo interdetto. Subito cerco di spiegarmi meglio, non voglio assolutamente che pensi di essere preso in giro.

- Come puoi pensare di non piacermi? In qualunque modo tu sia, Davide, tu mi piaci in qualunque modo, davvero.

Il suo sorriso accennato mi lascia spiazzata. Era convinto seriamente di potermi piacere di meno? Invece, pensandoci bene, con la barba non era niente male…

Ludovica entra in cucina e si avvicina al tavolo, sembra ancora in fase REM: non saluta nessuno, sposta malamente la sedia e si lascia cadere sul cuscino guardando dritto davanti a se, quasi in trance. Caspita, non è assolutamente la Ludo che conosco!

- Buongiorno, tutto bene Ludo? Mi sembri un po’ strana. – cerco di attaccare discorso, mantenendo allegro il tono della voce. Il suo sguardo astioso mi smorza la voglia di continuare a parlare.

- Il caffè è fatto da poco? Dimmelo subito, perché lo sai che mi fa schifo se è lì da un’ora – borbotta a mezza voce.

Guardo furtivamente Davide che alza un sopracciglio in un’espressione eloquente. Mi limito a sollevare le spalle e volto gli occhi da un’altra parte. Non sia mai che mi venga da ridere, succederebbe una tragedia. Le allungo una tazzina di caffè proprio nel momento in cui Daniel fa la sua comparsa accanto a noi. Con una mossa degna di un agente segreto io e Davide ci eclissiamo all’istante, scivolando nell’ombra dell’ingresso.

- Ma cosa le è preso? Avranno litigato, sicuramente. Lui però non mi sembrava affatto incazzato, e a te? - bisbiglio mentre ci fiondiamo velocemente verso il salone.

- Non saprei, siete voi donne che avete il sesto senso per certe cose. A me sembrava solo un po’ più isterica del solito!

Lo fulmino con gli occhi. Che la mia amica sia piuttosto eccentrica lo so perfettamente, ma sentirmelo dire è tutt’altra cosa. Lui finge di non accorgersi del mio sguardo assassino, ma non riesce a nascondere del tutto il ghigno sarcastico che gli solleva gli angoli della bocca. Subito dopo però si ricompone.

- Cosa ne dici di una passeggiata nel bosco? È una mattina stupenda. – chiede, con una calma che nasconde quasi una richiesta di scuse. Io sono ancora un po’ preoccupata per la mia amica, ma l’idea mi sembra fantastica e non riesco proprio a rifiutare.

Il bosco è ancora immerso in una vaga nebbiolina sospesa, diradata a tratti dai primi raggi del sole, che si insinuano tra i tronchi umidi. Camminiamo in silenzio, accompagnati dai suoni ovattati dei nostri passi sul muschio spesso e odoroso. Ha ragione, la mattina è veramente incantevole. Sembra di passeggiare in un sogno. Mi stringo un po’ di più nella giacca a vento, attraversata da qualche brivido sottile. L’aria ancora fresca mi entra nei polmoni riempiendomi di vita, come se mi ripulisse da uno strato di vecchia polvere, depositata sul fondo. Più proseguiamo e maggiore è la mia voglia di spingermi oltre, di forzare le gambe a muoversi. Arriviamo ad una svolta del sentiero, dove gli alberi si diradano e la luce si adagia su un ampio prato incolto. L’erba alta è frammista di fiori selvatici. All’improvviso mi volto a guardare Davide, sfodero un sorriso giocoso, poi all’improvviso comincio a correre. Senza pensare mi lancio a perdifiato verso il prato, abbandonando il sentiero battuto. Continuo a muovere i piedi il più rapidamente possibile, lasciandomi trasportare dalla leggera pendenza del terreno, con il cuore in gola. L’aria diventa affilata, passando veloce nella gola, mi sferza i polmoni. Non so cosa mi sia preso, ma mi piace. La sensazione liberatoria che sto provando è elettrizzante, quasi una droga. Arrivo come un fulmine a metà del pendio, in centro al prato. Sento la presenza di Davide dietro di me, mi tallona, mi raggiunge e mi afferra per un braccio. Mi trovo, così, a sbattere contro di lui, senza più fiato. L’impeto della corsa mi fa perdere l’equilibrio e mi accascio sull’erba, ridendo senza freni. Le lacrime mi velano gli occhi, ma non provo neppure a trattenermi, ho bisogno di lasciarmi andare. Ho bisogno di sfogare la tensione trattenuta stupidamente per troppo tempo. Restiamo abbracciati nell’erba finché le risate non si affievoliscono. Finché non riesco a concentrarmi nuovamente sulla realtà e mi soffermo a guardare i suoi occhi luminosi. Solo allora mi bacia. Di colpo la voglia di ridere sparisce e mi travolge un calore inaspettato. Non so se è colpa della corsa fatta, ma le mie labbra si rivelano talmente sensibili da provocarmi una sensazione quasi eccessiva. Il suo bacio delicato dura a lungo e io mi nutro, incantata, di ogni secondo. Si scosta appena, il tempo per respirare a fondo, mentre mi accarezza il viso. Subito io mi sollevo fino a ritrovare il contatto con la sua bocca, non riesco a tollerare neanche per un attimo la sua lontananza. Il freddo sulle labbra, ora, mi risulta insopportabile. Lo stringo a me, con forza. Come ho fatto ad essere così cieca? Come ho potuto? Non voglio lasciarlo mai più. Mai più, giuro.

Quando riusciamo a separarci per più di un istante, cerco di mettere a tacere il rumore pressante del cuore, che mi assorda. Pompa nelle orecchie con una forza inaudita, tanto da nascondere tutto il resto. Davide appoggia la sua fronte alla mia, sospirando. Dà l’impressione di aver appena superato un esame. Credo che avesse quasi paura della mia reazione, o di sbagliare il momento. Probabilmente di essere respinto e di non avere più la forza di tentare un altro approccio. Nessuno dei due ha il coraggio di parlare, adesso. Restiamo, muti, a guardarci negli occhi, quasi stupiti da quello che è accaduto. Allungo una mano e sfioro piano il contorno del suo viso. Pensare a quanto mi è mancato richiama un dolore cupo, che ingoio in tutta fretta, mi sforzo di cancellarlo per sempre. Passo le dita tra i suoi capelli e lo tiro delicatamente a me. Desidero il contatto morbido delle sue labbra, aspetto la sensazione calda della lingua che mi sfiora e mi accende. Non credevo che sarebbe stato più possibile. Sono ancora viva, dunque.

Non ci muoviamo dal prato per tutta la mattinata, cercando di trarre pace da ogni attimo. Il sole a picco, ora, ha cambiato l’aspetto del bosco e stranamente i suoni si sono smorzati. I richiami imperiosi delle cinciallegre sono più calmi, così come quelli dei fringuelli, che ora riecheggiano sporadici.

- Rientriamo? Si chiederanno dove siamo finiti. – sussurra ad un tratto.

Raccolgo la giacca dal prato e ci avviamo verso il cottage. La sua mano non lascia mai la mia, come se avesse timore di perdermi. Mi sorride, appena, gli occhi così splendenti da lasciarmi tramortita. Sto vivendo in un sogno, spero solo di non svegliarmi mai. Il percorso di ritorno è strano, almeno per me. Mi sento come sospesa, come fuori dalla realtà. Sono felice, ma ho paura di ammetterlo. Tremo al pensiero di potermi sentire di nuovo come prima. Farò di tutto perché non succeda, ne sono certa. Cerco di camminare lentamente, il più lentamente possibile, per non arrivare mai. Non sono sicura di poter stare ancora così bene, da adesso in poi. So che dovrò affrontare i miei problemi, ma pensarci in questo momento non mi sembra giusto. Davide mi aiuterà, non ho dubbi. È questo che si fa quando ci si vuole bene, non è così? Un respiro profondo e mi convinco che andrà tutto per il meglio. Sento stringere forte la mia mano, come per darmi coraggio.

- Non essere preoccupata, non c’è niente che non vada, adesso. – dice mentre si ferma e mi costringe a guardarlo dritto negli occhi – Sai che ti amo, vero?

Sospiro e annuisco. Di nuovo mi ha letto nei pensieri.

- Bene. Tienilo a mente, sempre, ben chiaro, perché qualunque cosa succeda niente potrà cambiare questo fatto.

È deciso, determinato, sicuro di quello che dice e di quello che prova. Glielo leggo nello sguardo. E io non posso che credergli.


 
 
 

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