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Ecco il secondo capitolo!

  • Eva Dal Rey - Come una crisalide
  • 29 dic 2015
  • Tempo di lettura: 14 min

Per essere fine ottobre la temperatura è ancora decisamente mite. Temo che il freddo arriverà di colpo prendendomi alla sprovvista. Sicuramente mi beccherò un brutto raffreddore da “k.o. tecnico” nel momento meno opportuno, costringendomi ad andare all’inaugurazione della clinica con il naso rosso e una tosse da cavallo bolso. Non sarebbe la prima volta.

Oggi mi è venuta voglia di sistemare la casa. Definire questa cosa strana è decisamente un eufemismo, solitamente le darei fuoco piuttosto che mettere mano al disordine cronico che dimora in ogni stanza. Le mie figlie sono la quinta essenza del casino: menefreghiste seriali che preferiscono scavalcare qualunque ostacolo sul loro cammino piuttosto che raccoglierlo. Il “non so dove metterlo” è all’ordine del giorno, come se i contenitori e gli armadi avessero profondità segrete e inaccessibili agli umani. Devo dire che in generale sono contenta della mia casa, mi piace. Tutto sommato, dovessi progettarla di nuovo, è così che la rifarei. Pensavo, all'epoca, che sarebbe stata anche troppo grande e invece, abitandola, mi sono resa conto che lo spazio non basta mai e che anzi, più ce n’è e più la roba che vi si accumula forma una falda amovibile di oggetti di dubbia utilità. Ogni tanto mi prende un potente impulso di buttare tutto e riconosco che sono momenti pericolosi, di cui infatti spesso mi pento.

Le rare volte che alla sera mi capita di rimanere da sola, mi siedo sul grande divano a elle davanti alla vetrata della sala e, dopo aver acceso le luci in giardino, mi godo lo spettacolo. Pur vivendo a due passi dalla civiltà sembra decisamente di abitare in un paradiso terrestre. Adoro questo posto, forse perché sono cresciuta in un appartamento arrampicato in cima a un palazzo nel centro di una metropoli, ma ormai difficilmente riuscirei a fare a meno di un giardino. A complicare ulteriormente questa mia necessità ci si è messa anche la passione per i bonsai. Nata silenziosamente fin da quando ero piccola, è sfociata in una vera e propria dipendenza patologica dalla quale difficilmente riuscirei a guarire. Il mio angolo preferito del giardino, per questo, è senz’altro quello dove tengo i miei tesori. Mi diverto a chiamarlo “il mio angolo zen” specialmente da quando Luca mi ha regalato un piccolo salottino da esterno, di quelli in finto rattan, in modo che io possa rilassarmi ammirando le piccole meraviglie della natura che possiedo. Devo dire che mio marito alle volte è proprio un tesoro, anche se dopo un gesto del genere è capace di ignorarmi per mesi, neanche facessi parte dell’arredamento.

Dopo una bella sfacchinata mi ritrovo completamente impolverata, sudata e stanca. Sono sfiancata ma contenta, forse avevo proprio bisogno di sfogarmi in qualche maniera, di buttare il nervosismo dalla finestra insieme ai sacchi dell’immondizia. Nella doccia prendo un po’ di tempo per me stessa e mi godo la sensazione dell’acqua sulla pelle. Senza fretta lascio scivolare via la stanchezza massaggiandomi a lungo con il guanto di crine e un bagnoschiuma al sandalo. Quasi quasi mi sento bella. Davanti allo specchio, in mezzo a una nuvola di vapore, mi osservo con aria critica. Effettivamente non dimostro affatto quasi quarant’anni; sono decisamente una bella donna, a sentire gli altri. Io però vedo solo difetti e in questo periodo più che in altri. Sì, è vero, ho delle gambe lunghe e slanciate, forse anche troppo magre, “gambe da pantaloni” le ha sempre definite mia mamma, come se fossero belle da mostrare solo quelle tornite e piene delle attrici anni ’50. Il sedere non è male, né troppo piccolo né troppo pronunciato; ancora non cade, probabilmente per tutta la ginnastica che ho sempre fatto, quindi può andare. Il seno è l’unica parte su cui non ho niente da dire, ne sono sempre stata fiera e devo confessare che ha richiamato parecchie attenzioni, fin dai tempi della scuola. Il problema maggiore è la pancia. Dopo due gravidanze non è certo degna di una culturista, tanto meno il girovita, leggermente appesantito da un piccolo ma sfrontato strato morbido. Basta, devo tornare in palestra e smetterla di ingozzarmi di dolci ogni volta che mi sento insoddisfatta o triste. Mentre mi asciugo i capelli mi accorgo di aver fatto un ennesimo, astratto e irrealizzabile programma dei miei. So perfettamente che una volta uscita dal bagno non mi ricorderò nemmeno una parola dei buoni propositi freschi di giornata, come sempre. Poso sulla mensola la spazzola e mi specchio nel mio sguardo malinconico, quasi triste. Ma dove è finita la donna piena di vita e di gioia di qualche anno fa? Perché mi sta succedendo questo? Nuda e con i capelli ancora umidi vado dritta nel soggiorno e rovescio la borsa sul divano, afferro il cellulare e compongo senza pensarci il numero di telefono scritto sul quel foglio di carta.

- Studio del dottor Saba, buongiorno – risponde una voce professionale.

- Buongiorno, vorrei un appuntamento… prima possibile, per favore.

- Se crede avrei un posto già domani, ho appena avuto una disdetta. Potrebbe andarle bene alle 16, signora?

- Perfetto, grazie. Sono Conte, Maddalena Conte. A domani.

Adesso devo solo mettermi l’animo in pace e aspettare, con fiducia.

Il Dottor Saba è decisamente un personaggio scappato da un romanzo di Dickens. La lunga barba quasi del tutto bianca e gli occhialini di metallo dorato ne fanno una figura tranquilla e rassicurante, quasi paterna, ma i suoi piccoli occhi azzurri vivono di vita propria e hanno una vivacità che raramente ho notato anche in uomini molto più giovani. Con un modo di fare d’altri tempi, tanto che rimango interdetta per alcuni istanti, mi invita a sedermi e mi offre una tazza di tè. Quando comincia a parlare, poi, mi sconvolge ulteriormente: non è su me che incentra il discorso, ma su di lui e su cosa lo abbia portato a fare lo psicologo. Mi parla dei libri che ha scritto e si alza addirittura per prenderne uno in cima a una libreria che copre interamente due pareti del piccolo studio.

- Ecco… ecco prenda questo, glielo presto volentieri, me lo riporterà con calma quando lo avrà terminato. Mi farebbe piacere un suo commento schietto. Lo prenda, su, lo prenda.

Allungo una mano, titubante, e mi ritrovo sul palmo un libricino ingiallito dal titolo “Aforismi per i pomeriggi di pioggia”.

Incredibile, penso, ora mi sveglierò e mi accorgerò di avere sognato tutto.

- Allora, Maddalena… posso chiamarla Maddalena, vero? Dicevo… cosa mi racconta di lei? Sorseggia il tè, benevolo, e attende paziente. Non so perché, ma è come se lo conoscessi da sempre. Mi riesce facile essere me stessa, per una volta, e parlo senza freni. Lui mi ascolta, ogni tanto interviene, ogni tanto sorride o mi incoraggia a continuare quando esito. È un’esperienza profondamente liberatoria.

Uscita dallo studio ho la sensazione di essere rimasta sospesa in una dimensione fuori dal tempo per un’eternità. Mi gira quasi la testa, ma nel cuore sono leggera come un aquilone.

Prima di tornare a casa passo dalla palestra e rinnovo il mio abbonamento ormai scaduto da mesi. Il buffo ometto ne sarà contento, mi dico. In macchina accendo la radio, alzando il volume come quando avevo vent’anni, e addirittura mi scopro a canticchiare stonata un paio di strofe. È così semplice sentirsi di nuovo bene? Probabilmente domani sarò di nuovo da capo, ma ora non voglio pensarci. Ho la sensazione di aver innescato un cambiamento positivo, sono convinta di poter tornare a essere felice, anche se non so ancora come.

Luca e le bambine mi tengono d’occhio in modo strano, durante la cena.

- Che cos’hai, mamma? - irrompe d'improvviso Sara, guardandomi negli occhi. La domanda mi lascia perplessa. Non capisco a che cosa si riferisca. - Sei diversa - continua. Sorrido. È incredibile che una bimba di undici anni si renda conto di un così intimo cambiamento, eppure non mi lascia un attimo per tutta la sera e faccio addirittura fatica a mandarla a letto. Ho sentito da qualche parte che la bellezza interiore riesce a trasformare completamente un corpo. In realtà, non è quello che ci hanno sempre raccontato nelle favole della nostra infanzia? La magia stasera funziona anche con Luca, che addirittura lascia presto il suo studio e mi si avvicina sotto le coperte. Mi lascio andare con piacere alle sue coccole, che presto diventano un bisogno impellente, una smania di ritrovarsi dopo troppo tempo. Vorrei potermi sentire sempre bella per lui, ma anche per me. Vorrei riuscire a non spegnere tutte le volte la luce quando facciamo l’amore, a osare di più, ma non faccio nemmeno in tempo a fantasticare che lui già dorme profondamente, voltandomi le spalle. E niente orgasmo, nemmeno l’ombra, nemmeno questa volta. Ora riuscire a dormire sarà un gran casino.

Luci da lontano, arrivano, sono in tanti, mi cercano, io sono appena uscita dall’acqua, sono nuda e sulla spiaggia fa freddo, c’è buio. Corro, scappo senza fermarmi, ma le gambe diventano pesanti, la sabbia mi inghiotte e rimango inchiodata a terra. Arrivano e io cado, cado, cado e loro mi sono addosso, sento le loro mani dappertutto, voraci e insaziabili. Non riesco a difendermi, voglio gridare, ma non posso... forse non voglio. I visi sono confusi, indefiniti, ma i corpi sono presenti, potenti, eccitati, i sessi eretti e pronti. Qualcuno mi bacia, a fondo, la lingua famelica mi esplora la bocca con determinazione. Un’altra, più in basso, percorre le labbra bagnate facendomi spalancare le gambe. Un calore inaspettato mi brucia nelle viscere, li voglio, li desidero tutti, subito. Braccia mi sollevano, sono schiacciata in mezzo a petti muscolosi di sconosciuti. Mi sento penetrare con forza, riempirmi con decisione e potenza, lasciandomi senza fiato. La totale pienezza mi rende pazza di libidine, sconvolta da un piacere profondo e totale. La mia bocca, spalancata in un grido senza voce, li cerca. La accontentano, colmandola a turno senza sosta. Sono completamente senza freni, reclamo un godimento senza limiti, ne pretendo di più, ancora di più, ne chiedo ancora e ancora. Il piacere mi invade totalmente e vengo a gran voce svegliandomi in un bagno di sudore.

Mi siedo sul letto completamente scossa, stordita da immagini ancora così vivide da sembrare reali, da sensazioni tanto forti da sospettare di non averle mai provate prima. Accidenti, da quanti anni non facevo un sogno del genere? E in tutta la mia vita non sono mai venuta nel sonno!

Luca si sveglia allarmato.

-Stai bene?

-Sì, sì… solo un sogno, un brutto sogno. Tutto bene… adesso passa.

Borbottando qualcosa di incomprensibile si gira dall’altra parte e in un nanosecondo torna a russare tranquillo. Io, però, di mettermi a dormire non ci penso proprio. Mi alzo in silenzio e scendo in cucina a farmi una camomilla. La luce accesa mi sveglia completamente e il sogno svanisce nel nulla fino a quando, aspettando che l’acqua si scaldi, mi siedo. Ancora non posso crederci. Caspita che immagini… e poi io non sono certo tipo da ammucchiate! Ma da dove sarà sbucata fuori questa cosa? Vai a capire, ma certo non posso chiedere lumi al dottore, preferirei morire piuttosto che mettermi a parlare con lui di sogni erotici. La bevanda calda mi tranquillizza un poco, torno a letto e riesco lentamente a riprendere sonno.

Finalmente è arrivato il giorno della presentazione ufficiale della clinica. L’ultima settimana è stata da delirio, un turbinio di telefonate concitate, di controlli meticolosi e di svariati battibecchi con chiunque rischiasse di intralciare gli ultimi ritocchi. Oggi invece, per il momento, calma piatta. Sono appena uscita da un soddisfacente appuntamento col parrucchiere e mi sento bene. Io sono una fanatica del fai da te, ma almeno in questi casi mi concedo uno strappo alla regola e accetto di mettere i miei riccioli più che ribelli nelle mani di un professionista. Torno a casa e guardo nell’armadio per scegliere qualcosa da mettere che non siano i soliti jeans. Tiro fuori un tailleur antracite, con gonna poco sopra il ginocchio, spacco piuttosto casto e giacchina avvitata. Sul mio fisico slanciato fa la sua ottima figura: è elegante ma non troppo vistoso. Abbino una camicetta in seta rosa pallido, senza maniche e col colletto che va legato in modo da sembrare una cravatta. Perfetta! Decolleté nere col tacco e borsa di Cavalli completano il tutto. Mi sento soddisfatta, così passo al trucco. Mentre applico il mascara suona il telefono.

- Accidenti, sei ancora a casa, Maddy? Sbrigati o farai una figuraccia e, ancora peggio, la farai fare anche a noi!

Il tornado Ludovica mi segna il tempo, come sempre; cosa farei senza di lei è veramente un mistero. Finisco velocemente di prepararmi abbondando forse un po’ troppo con il rossetto che, in questa situazione emotiva, mi sembra quasi il minimo sindacale. Prima di uscire do un colpo di telefono a Luca, per ricordargli che farò tardi. Lascio squillare il telefono ben oltre il limite di educazione che di solito mi caratterizza, ma non c’è niente da fare: l’uomo tutto d’un pezzo non risponde al telefono quando è al lavoro. Peggio per lui!

L’inaugurazione sta andando alla grande, io e Ludovica siamo prese da un turbine di convenevoli e complimenti e non smettiamo un attimo di sorridere. Dopo un paio d’ore ci fanno talmente male i muscoli del viso che cerchiamo una angolo tranquillo per rilassarci. Purtroppo la pausa dura poco. Vengono a chiamarci per una foto di gruppo e siamo costrette a buttarci nuovamente nella mischia. Il salone preparato per il rinfresco è gremito di gente elegante che conosco solo in parte. Le testate giornalistiche hanno dato molto risalto all’evento, negli ultimi giorni, ma sinceramente non mi aspettavo un’affluenza simile. Il sindaco e un paio di assessori non si dimenticano di lasciar cadere qualche frase di propaganda davanti ai giornalisti, ma in fondo per loro ogni occasione diventa anche un evento politico. A un certo punto riesco a defilarmi e mi apparto in un corridoio laterale dove, da quando è iniziato il buffet, la calca si è diradata. Tiro un sospiro di sollievo, domandandomi dove sia finita la mia amica, quando un uomo dall’aria scocciata mi piazza in mano un bicchiere vuoto apostrofandomi con aria insolente.

-Tenga il bicchiere, signorina, e me ne porti un altro, subito. Possibilmente fresco, questo sembrava piscio di cane!

Non riesco a credere alle mie orecchie, rimango letteralmente di sasso e non ho la prontezza di reagire subito. Ma per chi mi ha preso questo gran maleducato? Roba da matti.

- Ehi, sveglia! Ma per cosa crede che la paghino? Muova il suo bel culetto e mi porti un drink, per la miseria!

- Penso che il drink se lo possa andare a prendere anche da solo, signor Cafone. Anzi, credo che farebbe bene a prenderne più d’uno, chissà che da ubriaco non le venga fuori un po’ di educazione!

Piazzo il bicchiere su una mensola, gli volto le spalle con stizza e torno velocemente nel salone. Cribbio, che razza di tipo. Da dove saltano fuori elementi di questo genere, porca miseria? Se pesco chi l’ha invitato…

L’episodio mi lascia un po’ scossa, ma presto vengo di nuovo fagocitata dall’atmosfera festosa e la vicenda passa in secondo piano. Ludovica mi rapisce poco dopo mentre chiacchiero con un noto avvocato romano. Con la scusa di una telefonata mi prende a braccetto e si mette a raccontarmi ogni maldicenza che le è giunta alle orecchie durante il pomeriggio. Mentre passeggiamo non smette un secondo di presentarmi gente, tanto che alla fine non ricordo più nemmeno un nome. Lei è una maestra nelle relazioni sociali, conosce tutti e sa tutto di ognuno, la sua fama di pettegola non si smentisce nemmeno oggi, perché riesce a raccontarmi talmente tanti particolari che finisco per dubitare seriamente della loro veridicità. I nostri colleghi maschi sono tutti presi dalla descrizione dei lavori svolti, così riesco a portarla per un attimo sul terrazzo panoramico e le racconto brevemente dell’episodio con l’energumeno maleducato. Voglio sapere chi è e cosa stesse facendo lì e non c’è nessuno meglio di lei che possa dirmelo.

- Che razza di stronzo! - esclama. Certo, le mezze misure non sono il suo forte. - Descrivimelo, vediamo se l’ho invitato io. Se lo dovessi conoscere, giuro, vado a rovesciarglielo in testa personalmente quel suo drink del cazzo!

-Ma... non saprei dire esattamente, sono rimasta così di sasso che credo di non averlo visto nemmeno tanto bene… Vediamo… alto, moro, un bell’uomo direi, proprio un gran bell’uomo, con due occhi blu profondi e seri, molto seri.

- Vuoi dire che sta girando da queste parti un gran figo e io non ne so niente? Come ho fatto a non notare un tizio simile, scusa? Ma ne sei proprio sicura?

Sì, ne sono sicurissima. Ora che ci penso, non era proprio niente male, se solo non fosse stato un principe dell’arroganza. Naturalmente la discussione tra noi finisce in risate, con la gara a chi gliela farà pagare più cara. Ludo è veramente un’amica insostituibile! Quando la folla comincia a scemare ci avviciniamo al buffet e finalmente beviamo qualcosa anche noi. Paolo e Massimiliano ci raggiungono con altri due colleghi e finiamo il pomeriggio scrollandoci di dosso la tensione. Siamo tutti veramente soddisfatti e alla fine tocca a me fare il discorsetto conclusivo.

Prima che io abbia terminato si avvicina un personaggio molto particolare, un cinese di mezza età molto elegante. Al suo fianco due bodyguard, muniti di auricolari e occhiali scuri, non lo perdono d’occhio. A dispetto della sua modesta statura emana una solennità da uomo d’affari navigato riuscendo, non so come, a guardarci tutti dall’alto. Il mio gruppo d’amici si zittisce, subito incuriosito. Mentre lui ci guarda serio una zelante signorina si avvicina presentandolo come Mister Zhou, imprenditore molto onorato di conoscerci. Noi ci guardiamo furtivamente mentre lei prosegue.

- A Mister Zhou è molto piaciuto il progetto di questa clinica e vorrebbe parlare con voi per un progetto di un grande ospedale a Shangai. C’è già uno studio di Zurigo che si sta occupando della struttura, ma Mister Zhou vuole voi per gli interni. Mister Zhou avrebbe il piacere di offrire a voi questo incarico.

I nostri sguardi si trasformano in sorpresa e subito dopo in gioia. Con un’occhiata veloce mi rendo conto che non ci sarà bisogno di una riunione straordinaria per decidere se accettare o meno l’incarico, così prendo la parola.

- La ringraziamo molto per aver pensato a noi, Mister Zhou, e siamo veramente felici di poter valutare la sua offerta. Quando lo crederà opportuno ci renderemo disponibili a incontrarci per parlarne.

L’aria soddisfatta di tutti mi rende veramente felice e con un gran sorriso saluto il nostro interlocutore che si congeda con un piccolo inchino. Quando esce dalla stanza tra di noi scoppia un boato. Non riusciamo a capacitarci, ci facciamo i complimenti a vicenda e decidiamo di dare fondo allo spumante rimasto. La Ludo è partita per la tangente, non l’ho mai vista così allegra, quasi matta direi, tanto che cerco più volte di metterle un freno. L’esuberanza della mia amica, però, alla fine diventa contagiosa. Al quinto bicchiere io e lei decidiamo di andarcene finché riusciamo ancora a stare dritte in piedi; purtroppo non siamo delle gran bevitrici e basta poco per metterci a terra, così riusciamo a defilarci con addosso ancora un po’ di contegno. Tra le risate e l’alcool arrivo a casa piuttosto scomposta, ma riesco a rendermene conto solo quando vedo la faccia arrabbiata di Luca.

- Ti ho chiamata. Cinque volte. Ero preoccupato.

Subito frugo nella borsa e trovo, puntuali, tutte le sue chiamate.

- Scusa, non ho sentito, c’era confusione. E poi anch’io ti ho chiamato, stamattina, e nemmeno tu mi hai risposto – controbatto all'istante.

- Ero a lavorare, io, non ero dal parrucchiere, né a ubriacarmi con gli amici, io!

Ubriacarmi con gli amici?!? Ma cosa sta farneticando? Io ero a un’inaugurazione con i miei colleghi... anch’io lavoro, mica solo lui, brutto stronzo! Di colpo sono perfettamente sobria, lucida e incazzata. E io che pensavo al modo migliore per dirgli che prossimamente sarei stata spesso fuori casa… ma ci vado a stare definitivamente lontano da lui, presuntuoso che non è altro!

- Per la precisione – gli sbatto in faccia senza preamboli – volevo avvisarti che ho accettato un incarico a Shanghai, quindi starò via un bel po’, prossimamente.

La sua faccia esterrefatta mi ripaga dell'incazzatura.

- Cosa stai dicendo? Hai una famiglia, tu, lo sai o no? Come pensi di fare a conciliare le due cose? Mi sembra ovvio che tu debba rinunciare, mia cara, non se ne parla nemmeno!

Non se ne parla nemmeno? Ma con chi crede di parlare? Non sono una bambina capricciosa che vuole andare a Londra per vedere il concerto dei One direction! E poi non sono l’unica qui ad avere una famiglia, forse non si rende conto che l’abbiamo entrambi. Sono talmente alterata che non mi viene in mente niente da dire. È tutto così assurdo. Pensavo sarebbe stato fiero di me, che mi avrebbe abbracciata facendomi i complimenti. Non posso credere alle mie orecchie. Mi siedo pesantemente sul divano, guardandolo come si guarda una creatura venuta dallo spazio.

- Stai scherzando, vero? Quando hai avuto la cattedra a Monaco io sono stata contenta per te e ci siamo arrangiati come abbiamo potuto. Non puoi farmi questo.

- Maddalena cerca di ragionare, non è proprio fattibile, – pontifica, pronunciando le parole come se fossi una povera mentecatta - la situazione è diversa: io all'epoca ho lasciato te con le nostre figlie, la madre. Non pretenderai che me ne occupi io completamente da solo. Ho ben altro a cui dedicarmi, io.

Il mondo mi cade addosso. Lentamente, però, al rallentatore. Cerco di trovare nel mio cervello delle ragioni che lui possa comprendere e accettare, ma evidentemente Luca ritiene l’argomento chiuso perché si volta per andare a dormire. L’istinto mi dice di fermarlo, ma non mi esce alcun suono dalla bocca, sono svuotata e delusa. Senza pensarci due volte allungo il braccio verso il cassettone, prendo il vaso antico, regalo di nozze di sua madre, e glielo lancio dietro.

- Tu sei pazza! Cosa credi di fare, di uccidermi? Vedi di calmarti, io vado a dormire nello studio. Pensa bene a quello che fai. Se te ne vuoi andare, vai pure, ma vedi di non tornare più!

Resto allibita. Non avevamo mai litigato in questo modo, mai. Sono stupita anche da me stessa, cosa credevo di fare? Probabilmente era solo un modo per sfogarmi, per lanciargli un insulto che in quel momento non mi veniva in mente, ma effettivamente ho esagerato. Domani gli parlerò, cercherò di sistemare le cose. Non può impedirmi di partire, comunque, non ha il diritto di farlo. Ora vado a dormire, sono troppo stanca per ragionare con lucidità, domani metterò la situazione a posto.


 
 
 

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